"Io credo di non essere responsabile del significato o dell'assurdità del vivere,
invece credo di essere responsabile di quello che faccio personalmente con la mia propria, irripetibile vita"
(Hermann Hesse)


venerdì 30 luglio 2010

Antòn Cèchov, La Camera N°6

[Ivàn Dmìtric Gròmov, uomo sui trentatré anni, nobile, ex usciere giudiziario e segretario del governatorato, soffre di mania di persecuzione. Egli o sta sul letto raggomitolato, o cammina da un angolo all'altro, come per fare dell'esercizio; seduto ci sta assai di rado. E' sempre eccitato, inquieto e in uno stato di tensione per l'attesa di qualcosa di vago e d'indefinito. Basta il più piccolo fruscio nell'entrata o un grido nel cortile perché egli sollevi la testa e tenda l'orecchio: non verranno a chiamarlo? Non cercano lui?]...[ Le sue smorfie sono strane e penose, ma i fini lineamenti che una profonda e sincera sofferenza imprime al suo viso sono quelli di una persona ragionevole e intelligente e gli occhi hanno una luce sana e calda.]...[ Quando parla, riconoscete in lui e il pazzo e l'uomo. Parla della bassezza umana, della violenza che calpesta il diritto , delle inferriate che gli ricordano ad ogni minuto la stupidità e la crudeltà degli oppressori.] ...[ I fatti e la logica sana lo convincevano che le sue paure erano assurde e frutto di psicopatia, ma quanto più egli ragionava con intelligenza e con logica, tanto più forte e tormentosa diventava la sua agitazione interna. Vedendo che era cosa inutile cessò di ragionare e s'abbandonò tutto alla disperazione e alla paura. Prese ad isolarsi e a fuggire la gente. La sua professione già prima gli ripugnava, ma ora gli divenne insopportabile. Lo strano è che mai in altri tempi il suo pensiero era stato così agile e ricco d'inventiva come ora, quando ogni giorno escogitava mille diversi motivi di temere seriamente per la propria libertà e per il proprio onore. Però diminuì in modo sensibile il suo interesse per il mondo esteriore e in particolare per i libri, e la memoria cominciò a tradirlo fortemente.]...[ Il dottor Andrèj Efìmyc gli prescrisse delle compresse fredde sulla testa e delle gocce di lauroceraso, poi scosse tristemente il capo e uscì di casa dicendo che non sarebbe più tornato. Poiché Dmìtric non aveva di che vivere e di che curarsi ben presto lo mandarono all'ospedale.] ...[ Di gente che ami visitare i manicomi ce n'è poca a questo mondo, una volta ogni due mesi viene il barbiere. Come egli tosi i pazzi e come il custode Nikita lo aiuti a farlo, e in quale agitazione piombino i malati ad ogni apparizione del barbiere ubriaco e sorridente, noi non lo staremo a dire. Eccettuato il barbiere, nessuno getta lo sguardo nel padiglione. I malati sono condannati a vedere ogni giorno che passa il solo Nikita.]...[ Nell'ospedale i malati sono molti, ma il tempo è poco, e perciò la visita del dottor Efìmyc si limita ad un breve interrogatorio e alla distribuzione di qualche medicina, come un unguento volatile o l'olio di ricino. Efìmyc sta seduto con la guancia appoggiata al pugno e, meditabondo, fa le domande macchinalmente. Durante le visite non fa alcuna operazione; già da lungo tempo ne ha perduta l'abitudine e la vista del sangue gli procura un'emozione spiacevole.]...[Alla sera, quando battono le ore, Efìmyc chiude gli occhi per riposare un poco. Egli sa che mentre i suoi pensieri turbinano con la terra raffreddata attorno al sole, accanto al suo alloggio medico degli uomini languiscono nelle malattie e nella sporcizia; forse qualcuno non dorme, alle prese con gli insetti, qualcuno è infetto di risipola o geme per la fasciatura troppo stretta; tutta l'opera ospedaliera è basata sul ladrocinio, sul pettegolezzo, sulla maldicenza, sul favoritismo, su una grossa ciarlataneria, e l'ospedale, come per il passato, si presenta come un'istituzione immorale e al più alto grado dannosa per la salute degli abitanti.] ...[ E' venuto il dottore! Grido Dmìtric e si mise a sghignazzare. Finalmente! Signori mi congratulo! Il dottore ci onora di una visita! Maledetta canaglia! Bisogna ucciderla questa canaglia! No ucciderla è poco! Bisogna affogarla nella latrina!]...[ Voi (dottor Efìmyc) non conoscete affatto la realtà e non avete mai sofferto, voi vivete come una sanguisuga sulle sofferenze altrui.]...[ Ben presto corse voce che il dottor Efìmyc si era messo a frequentare la camera n°6. Nessuno poteva capire perché ci andasse, perché ci rimanesse delle ore intere, di che cosa parlasse e perché non prescrivesse delle ricette. Le sue azioni sembravano strane. Gli inservienti, le infermiere e i malati, incontrandolo lo guardavano interrogativamente e poi mormoravano fra loro.]...[ Uscito dal municipio Efìmyc comprese che quella era una commissione incaricata di indagare sullo stato delle sue facoltà mentali. ]...[ Efìmyc e il collega Chobotov si diressero verso il padiglione dove erano ricoverati i pazzi. Entrando nella camera Chobotov disse :” aspettatemi qui,torno subito. Passata mezz'ora invece di Chobotov entrò Nikita, tenendo tra le braccia una veste da camera e certa biancheria e pantofole. -Favorite di vestirvi vostra nobiltà, ecco il vostro lettino, favorite qui-. Efìmyc comprese tutto. Senza dire nemmeno una parola si avvicinò al letto e si sedette. ]...[ Andrèj Efìmyc si coricò e trattene il respiro; egli s'attendeva che Nikita lo picchiasse ancora. A un tratto gli balenò chiaro il terribile e intollerante pensiero che un dolore proprio uguale avevan dovuto provarlo per anni quegli uomini che ora sotto il raggio della luna parevan ombre nere (i pazzi). Come era potuto accadere che per lo spazio di più di vent'anni egli non l'avesse saputo o non l'avesse voluto sapere? ]

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